1997: il prestigioso quotidiano New York Times spedisce una propria inviata a Tolmezzo, per provare la cucina dello chef carnico Gianni Cosetti, che viene promossa con il massimo dei voti. Ecco la traduzione dell’articolo, che pubblichiamo in occasione della serie di manifestazioni che ricordano il cuoco al Museo Carnico di Tolmezzo
Un ritratto di Gianni Cosetti collocato all'interno del "suo" Museo Carnico. Il grande cuoco invitava i propri clienti a visitarlo, affinché si "immergessero" nella cultura del luogo, per meglio leggere e apprezzare i piatti che poi avrebbe proposto loro
Rifarei domani stesso il viaggio per Tolmezzo, cittadina a nord di Udine, pur di concedermi un’altro pasto in questo eccellente ristorante. Il proprietario e chef, Gianni Cosetti, ha portato praticamente da solo la cucina della Carnia, questa parte del Friuli, e i suoi migliori ingredienti, nel regno dei gourmet.
Sebbene sia elegante e piccolo, con solo otto tavoli, moderno e confortevole con molti specchi, il ristorante si trova in un vecchio hotel, e non si realizza immediatamente che si sta per affrontare un’esperienza gastronomica di livello superiore. Eppure noi ci abbiamo messo appena il tempo del primo boccone.
Liliana, sorella del signor Cosetti, ci ha indirizzato verso i piatti più tradizionalidi un menu piuttosto esteso. Un antipasto di “toc in braide”, consistente in una cucchiaiata di morbida polenta sopra una crema mista di formaggi freschi e affogata in una salsa granulosa di burro fuso nella farina di polenta. Il tutto completato da un non tradizionale foie gras (il tocco finale varia con la stagione).
Ancora più esaltanti sono risultate le fette di salame cotte nell’aceto e servite sulla polenta soffice, con l’aspra salsa e la brovada, fatta di cavolo-cappuccio grattugiato e fermentato. L’effetto è simile ai crauti, solo che è più raffinato e delizioso.
La ricetta per i cjalsons varia di vallata in vallata e di casa in casa. Nel ripieno Cosetti usa ortica, uva passa, e pinoli, con ricotta salata grattugiata sopra e il fenomenale risultato è qualcosa che non avevamo mai gustato prima.
La strada per il cuore di Franco (Il compagno di viaggio dell’autrice. Ndr) è lastricata di fagioli, e lui il suo cuore lo ha lasciato a Tolmezzo, in una ciotola di fagioli pepati e zuppa d’orzo.
Illusoriamente semplice, la mia succulenta oca bollita a pezzetti con rape, era servita con una salsa di un rosso dolce come quello di un rossetto, ricavata dalla rosa canina, chiamata picecui. Ma i due tipi di frico – uno con patte e formaggio, croccante fuori e morbido dentro, l’altro croccante e sbriciolato, sono stati corroboranti. I Cjalsons sono riapparsi per il dessert; in questa veste riempiti con farcitura di frutta secca, sotto una salsa di crema rianimata con frammenti di cannella.
Il nostro unico errore è stato di affidarci ai vini della casa – uno Chardonnay tutto sommato decente, seguito da un Cabernet armonioso – piuttosto che provare qualcosa di più ambizioso. Ad ogni modo col dessert abbiamo bevuto un bicchiere del mitico Picolit (Betulle ’95 Colli Orientali del Friuli), prezioso per via delle ridotte quantità che ne vengono prodotte e per il prezzo. Nessun visitatore di questa regione dovrebbe perdere l’occasione di provarlo.
Maureen B. Fant
(Pubblicato domenica 11 maggio 1997 su The New York Times all’interno di un reportage culinario dedicato al Friuli, dove furono messi alla prova cinque ristoranti. Traduzione di Francesco Brollo)
Qui sotto l’articolo originale:
http://www.nytimes.com/1997/05/11/travel/an-italian-enclave-of-wine-and-ham.html?scp=2&sq=tolmezzo&st=cse&pagewanted=1
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